La più grande novità del 2018, quando si parla di criptovalute, è la nascita di Petro, la prima criptovaluta di stato. Nello specifico, del Venezuela. Più volte annunciata nel corso del 2017, accolta come una mera provocazione dagli investitori internazionali, una specie di bluff, si è invece rivelato un progetto reale, che dovrebbe fare il suo esordio entro la fine di gennaio.
Petro rappresenta una svolta epocale, un passo in avanti drastico per il mondo crypto o è solo un progetto destinato a fallire? Ovviamente, è ancora presto per dirlo, ma molti investitori protendono per la seconda ipotesi. Il problema ruota attorno al paese cui fa riferimento, il Venezuela appunto, che di certo non vive un buon momento ed è afflitto da problemi strutturali e di difficile risoluzione. Per intuire il futuro di Petro, però, è necessario comprenderne le caratteristiche.
Che cosa è Petro
Petro è una criptovaluta, e fin qui ci siamo. Tuttavia, non è una criptovaluta come le altre. In primo luogo, perché sconfessa uno dei dogmi su cui si basano tutte le valute virtuali attualmente in circolazione: l’autonomia dai poteri centrali. Petro è una valuta di stato, quindi è posta sotto l’egida del potere statale e, anzi, è nata proprio per risolvere i suoi problemi. Quali siano questi problemi è sotto gli occhi di tutti: l’inflazione alle stelle, conseguente difficoltà di approvvigionamento, crisi economica nera.
Lo scopo di Petro, quindi, è quello di porre in essere un mezzo di pagamento per gli scambi internazionali, dal momento che il bolivar venezualano potrebbe presto sganciarsi dal dollaro e rendere estremamente difficoltoso qualsiasi attività di importazione (il bolivar è in regime di cambio fisso con l’USD).
La seconda caratteristica, anch’essa in totale discontinuità con le altre criptovaluta, è la garanzia che sta alla base. Il Petro, infatti, è garantito da un bene materiale. Nello specifico dal petrolio venezuelano del blocco Ayachuco (giacimento Orinoco). La liquidità potenziale è quindi di 5,9 miliardi di dollari (al prezzo attuale)..
Il valore di partenza di un Petro sarà quello di un barile di petrolio “venezuelano”, che corrisponde attualmente (metà gennaio) a 65 euro circa.
Insomma, Petro più che una criptovaluta sembra una valuta vera e propria, per quanto digitale e quindi, in linea di massima, più semplice da portare a regime: non occorre stampare, coniare e distribuire alcunché.
Le perplessità degli investitori
Come hanno accolto gli investitori la nascita di Petro? La risposta è: molto male. C’è molta diffidenza intorno al progetto. Anzi, nella maggior parte di casi si segnala una decisa bocciatura. Anche se non è tanto il progetto a lasciare perplessi, quanto il grado di affidabilità (ufficialmente basso), dei soggetti venezuelani rispetto alle richieste dei mercati internazionali. D’altronde, secondo Standard and Poor’s il Venezuela è in un certo senso già in default. Per la precisione, in default selettivo: già oggi non riesce più a ripagare “parte” dei suoi debiti.
I maggiori dubbi riguardano la garanzie che nelle previsioni del governo venezuelano avrebbero rappresentato il punto forte di Petro: su tutti, la garanza del fondo petrolifero Ayachuco, gestito dalla compagnia petrolifera statale Petroleos de Venezuela. Ebbene, proprio le obbligazioni di quest’ultima sono diventate spazzatura, e non sono state più ripagate.
Secondo Simon Quijano-Evans, strategist di Legal & General IM, Petro non è altro che un “rimpacchettamento” di questi titoli sotto forma di criptovaluta.
Torino Capital, invece, ha sollevato dubbi non solo circa il grado di affidabilità delle istituzioni venezuelano ma anche sul concept che c’è dietro la criptovaluta di stato venezuelana. In un documento diramato il 19 gennaio dalla banca di investimenti infatti si legge: “Le criptovalute supportate da materie prime danno ai titolari della moneta il diritto di scambiare una unità della valuta per l’attività che la sostiene. Ma il petrolio su cui si basa il Petro non è stato estratto, quindi è fisicamente impossibile per il governo dare a un possessore del petro un bene in cambio della sua moneta”.
Secondo il documento, la garanzia sbandierata dal governo potrebbe presto diventare meramente simbolica.
Ad ogni modo, Torino Capital non crede che Petro sia destinata a fallire. Anzi: le sue chance di sopravvivenza sono alte, ma solo se l’intervento governativo sarà minimo o assente, e non si concretizzerà nel tentativo di controllare il prezzo.
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